Campi e prati

L’assetto colturale della Piana di Piazzolo durante i primi decenni del Novecento vedeva il dominio dei campi sui prati, delle colture seminative su quelle foraggere.

Secondo i dati del Catasto agrario nel 1929 a Piazzolo si coltivavano segale, su 2 ettari, mais, su altri 2 ettari, e patate, su 4 ettari, per un totale di 8 ettari.

Tutta la piana, ampia circa 5 ettari, era dunque adibita alle coltivazioni più pregiate e redditizie, così come gli altri spazi pianeggianti e i campetti dei ronch2.

Lo scenario di Piazzolo si ripeteva negli altri comuni dell’alta valle: a Cusio v’erano 9 ettari di seminativo, di cui 1 a segale, 2 a mais e 6 a patate, a Valtorta 2 ettari a segale e 13 a patate, per un totale di 15 ettari, a Mezzoldo 6 ettari, tutti a patate, a S. Martino de’ Calvi 2 ettari a frumento, 1 a segale, 18 a mais e 14 a patate, per una superficie seminativa totale di 35 ettari.

Come si vede il mais e le patate, le ultime tra le colture “tradizionali” a giungere in valle, erano localmente abbondanti.

Il mais, presente nella pianura bergamasca dall’inizio del Seicento, in realtà fece fatica a conquistare il solco brembano, tant’è che a inizio Ottocento il Maironi da Ponte non lo annovera tra le “biade” della Valle Averara, ancora come un tempo dominate dai “cereali minori” e in particolare da segale, spelta e orzo.

La segale e l’orzo erano apprezzati per la loro rusticità, così come il miglio, altro cereale un tempo assai diffuso in montagna, che recava in dote anche un breve ciclo colturale.

Le patate, giunte in bergamasca quasi due secoli dopo il “granoturco”, sono invece citate dal Maironi a Cusio e Ornica, nonché in Valle Averara, indice di una più rapida diffusione e migliore capacità d’adattamento all’ambiente dell’alta montagna.

Il primato dei seminativi sulle foraggere si protrasse nei siti più favorevoli e adatti alla lavorazione del terreno sin verso la metà del XX secolo.

Nel secondo dopoguerra l’esodo dalle montagne e il declino del settore primario hanno portato dapprima a una rapida semplificazione del paesaggio a vantaggio dei prati, da sempre alla base dell’economia agricola brembana, e poi alla contrazione di questi ultimi, che oggi non di rado lasciano il posto al bosco anche in siti comodi e produttivi.

 

Tratto da: “Le guide di Altobrembo, volume II – Agricoltura e mestieri della tradizione”, a cura di Stefano D’Adda e Marco Dusatti

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