Gli Alpeggi

La malga, detta anche “alpe” o “monte” (“mut” in dialetto bergamasco), è una porzione di montagna dove la secolare e talvolta immane opera di bonifica e coltivazione dell’uomo ha trasformato in pascoli aree che un tempo erano occupate da boschi, cespuglieti e praterie selvatiche.

A seconda dei luoghi, ai pascoli si accompagnano rocce, acque, cespuglieti, boschi, talvolta anche prati, quasi sempre in contesti di grande valore ambientale e paesaggistico.

Della malga fanno parte anche fabbricati e strutture: per l’abitazione dei malghesi, per la lavorazione e la conservazione del latte e dei formaggi, per il ricovero e l’alimentazione del bestiame, per l’uso e il governo del pascolo.

La malga è un’esemplare forma di utilizzazione del territorio attraverso cui una preziosa risorsa foraggera, che per il suo ridotto sviluppo e l’asperità dei luoghi non può essere convenientemente falciata e tantomeno affienata, viene sfruttata direttamente in posto attraverso il pascolo.

Insomma, parafrasando un famoso proverbio: se l’erba non può andare agli animali, gli animali vanno all’erba!

Ogni malga è delimitata da precisi confini, costituiti da elementi fisici naturali o da manufatti.

Crinali, dossi, corsi d’acqua, muri, cippi, mulattiere e sentieri si susseguono nel definire l’areale della malga.

Si tratta di confini spesso invisibili ai non addetti ai lavori; vertici e linee immaginarie che i conduttori delle malghe conoscono bene, sui quali si fonda il reciproco rispetto tra confinari.

Ogni malga ha le sue aree di “godimento”, fatte di pascoli, boschi e acque: ogni luogo, ogni uso, risulta così definito e regolamentato.

In maniera più o meno precisa i limiti delle malghe sono descritti anche nei contratti o nei capitolati di affittanza, con riferimenti a luoghi e proprietà confinanti.

I pascoli della malga sono di solito collocati a diverse quote: dalle più basse, dove giace il “piede” dell’alpe, alle più elevate, dove si trova la “cima”.

La distribuzione altitudinale delle praterie fa sì che lo sviluppo dell’erba avvenga contestualmente al procedere della stagione estiva, dal basso verso l’alto della montagna.

Con la suddivisione del pascolo in “stazioni”, ovvero in aree di pascolo appositamente strutturate, la malga è “costruita” per garantire una costante disponibilità di foraggio fresco al bestiame.

Spostando continuamente il suo centro d’azione, il malgaro utilizza dapprima il piede dell’alpe, dove la neve scompare presto e l’erba è pronta all’inizio dell’estate.

Al culmine della stagione raggiunge la cima, sfuggendo i caldi più intensi, per poi ritornare in basso alla fine dell’estate sulle praterie che nel frattempo hanno prodotto un nuovo ricaccio d’erba.

Da un minimo di una, le stazioni possono arrivare a dieci, anche dodici, se un’alpe è molto estesa o produttiva.

 

LA CASERA
e gli altri edifici del “Mut”

In ogni stazione alpestre è presente almeno un edificio e pertanto le malghe organizzate su molte stazioni sono anche quelle più ricche di fabbricati. La collocazione di questi ultimi non è mai casuale: si trovano infatti al riparo delle valanghe, presso sorgenti o corsi d’acqua, in aree dolci e in siti diversamente esposti a seconda delle esigenze. La casera è l’edificio adibito al deposito e alla conservazione dei formaggi.

Il suo nome deriva infatti dal latino “caseus”, che significa “cacio”, ovvero formaggio.

Sotto il suo tetto trovano solitamente posto anche il locale per la lavorazione del latte e l’abitazione dei malgari, talvolta anche stalle e depositi.

Per questa ragione è uno dei fabbricati più grandi e articolati del monte, sovente collocato in posizione strategica e centrale rispetto alle diverse stazioni. È insomma il centro nevralgico, il cuore della malga, l’edificio cui tradizionalmente sono dedicate le maggiori cure costruttive.

La baita è invece un edificio formato per lo più da un solo vano, usato per l’abitazione e la lavorazione del latte.

Talvolta i locali sono due o più: si ha dunque una netta separazione tra la cucina, ove si mangia e si lavora il latte, il dormitorio ed eventuali depositi di prodotti e scorte. Il “calecc” è un edificio simile alla baita per dimensioni e funzioni ma dalla struttura assai più spartana.

È infatti formato dai soli muri perimetrali, a secco, ed è privo di tetto.

Per questo può essere confuso con un rudere.

La copertura è costituita da teli e lamiere (un tempo da tavole di legno) che vengono trasportati da un calecc all’altro. È usato laddove la stazione di pascolo è di breve durata e non giustifica la formazione di una vera baita.

Il baitone o stallone è un grande edificio adibito al ricovero del bestiame.

Di norma presenta un tetto a due falde ed è chiuso sui quattro lati. Alcuni disponevano di soppalcature sottotetto in cui veniva riposto del fieno da utilizzare nei giorni burrascosi, quando gli animali rimanevano al chiuso.

Anche la “penzana” è un ricovero per il bestiame.

Rispetto allo stallone è generalmente più stretta, con una sola fila di poste e tetto a una falda.

Ha inoltre la caratteristica di essere aperta sul fronte.

Il “bàrech” (o bàrek) è un recinto utilizzato per raccogliere e proteggere il bestiame durante la notte o in occasione di peculiari eventi meteorici, temporali in particolare.

La genesi di quelli in pietra, oggi i più diffusi, si lega alle operazioni di bonifica del pascolo. Tra i fabbricati minori delle malghe ci sono inoltre la porcilaia, nei siti più strutturati, il casello del latte, utilizzato per raffreddare il latte e favorire l’affioramento della panna laddove v’è acqua corrente e l’uso di produrre burro, e, a seconda dei siti, la pozza d’abbeverata o la fontana alimentata da sorgenti e corsi d’acqua.

Tratto da: “Le guide di Altobrembo, volume III – Malghe e alpeggi”, a cura di Stefano D’Adda e Marco Dusatti

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